Non sono soltanto le piccole aziende a trovarsi in serie difficoltà in questi anni di crisi del settore grafico editoriale, ma anche i grandi gruppi, con gravi danni per l’intero sistema sia sotto il profilo economico che occupazionale. In cima alla lista delle preoccupazioni il colosso RCS, che affronta difficoltà crescenti sul piano della dirigenza (con varie uscite tra i manager di punta) e delle strategie di contenimento delle perdite.
L’unica notizia ufficiale è che nelle scorse settimane ha lasciato il chief operations officer Marco Ottelli, che rispondeva all’ad Pietro Scott Jovane e aveva la responsabilità della ristrutturazione interna e degli acquisti. Ottelli si è spostato in Diesel, dove ha trovato Riccardo Stilli che era uscito da RCS Mediagroup due anni fa. Al suo posto arriva Roberto Locatelli, che in precedenza era responsabile delle risorse umane dei periodici.
Ma quella di Ottelli non è stata l’uscita più clamorosa: “è stato dimesso”, come si ironizza negli ambienti vicini al gruppo, anche Gianni Paolucci, direttore operazioni dei quotidiani nonché presidente di Asig. Le motivazioni non appaiono del tutto chiare: l’ipotesi più accreditata riguarda una posizione gerarchica non ben definita, perché Paolucci, seppur dipendente dai quotidiani, dal punto di vista funzionale faceva capo alla capogruppo.
Secondo una ricostruzione non confermata (ma definita “verosimile”) a provocare la sua uscita sarebbe stata l’ipotesi di metterlo alle dipendenze di Locatelli, con una limitazione di autonomia che Paolucci avrebbe rifiutato. Rimane – per il momento – al vertice di Asig, ma l’associazione degli stampatori di giornali si riunirà in assemblea a fine marzo, e viene considerata probabile la scelta di un nuovo presidente.
Al di là delle uscite dei manager di punta, si fa notare come – passata la moda dei dirigenti “marketing oriented”, diventino sempre più rilevanti gli uomini provenienti dalle Risorse umane. Oggi più che mai la priorità è il taglio dei costi: mentre prosegue l’outplacement dei poligrafici, le forbici tagliano i dirigenti… in attesa di affrontare la partita principale, cioè il costo delle redazioni che a questo punto appare insostenibile.
Un’altra partita è rappresentata dalla divisione libri, che RCS dovrà vendere a Mondadori o a qualche altro acquirente. Ma Segrate al momento appare un’opzione difficilmente praticabile, se non altro dopo che il manifesto firmato da Umberto Eco con altri autori contro il passaggio alla famiglia Berlusconi ha trasformato la cessione in un caso politico.
In ogni caso RCS dovrà rivedere i propri piani, puntando a vendere i gioielli di famiglia con l’obiettivo di garantirsi almeno a breve termine un bilancio in pareggio. Sullo sfondo restano aperte la domande sui quotidiani: Corriere e Gazzetta possono sostentarsi? Fino a quando? Chi ha la forza e la volontà di aprire un aspro conflitto sul costo dei giornalisti?
Un altro tassello della strategia di RCS per ridurre lo sbilancio è rappresentato da tempo dal tentativo di “sfilarsi” dalla produzione, visto quanto incidono gli stabilimenti sulle uscite del gruppo. Si tratta di un’ipotesi alla quale si guarda da almeno cinque anni e che non riguarda solo l’Italia, ma anzi è comune a molte società in tutta Europa. In Spagna, ad esempio, El Mundo (che non a caso è una consociata di RCS) ha venduto gli impianti di proprietà ai connazionali di Bermont, e lo stesso Ottelli stava prendendo spunto da questo modello per “terziarizzare” i processi di stampa.
Uno sviluppo possibile non solo per RCS ma anche per il Sole 24 Ore, per La Stampa e altri editori. “In Italia non è pensabile che gli editori siano anche stampatori, ma d’altra parte non si vede un imprenditore che possa fare questo mestiere”, sostiene un esperto del settore che passa in rassegna i grandi nomi senza soffermarsi su nessuno. “Chi ha le spalle abbastanza grandi per diventare uno stampatore importante non sembra averne l’intenzione, chi vorrebbe non ha capitale e si limita a vivacchiare: e a queste condizioni nessuno corre il rischio di affidare i propri quotidiani a un futuro incerto”.
La stessa RCS intorno al 2000 puntava ad assegnare questa funzione a Seregni, che era sembrata una buona scelta: ma le gravi difficoltà del fornitore avevano di fatto costretto il gruppo a riprendersi gli stabilimenti. A questo punto Roma, Padova e Milano restano i tre poli della produzione RCS per i quali pare il gruppo stia cercando un compratore. Ma non si vedrebbero acquirenti italiani disponibili e interessati, mentre gli stranieri temono il rischio-Paese e sono preoccupati per quello che viene definito “strapotere sindacale”, soprattutto nel polo di Pessano. E RCS resta un gigante malato, per il quale una cura appare sempre più difficile da trovarsi.