La sostenibilità è quasi una parola d’ordine del nostro quotidiano: i brand lavorano per incrementare la propria attenzione al benessere del pianeta e cercando sempre nuove vie per passare questo messaggio. I consumatori finali dal canto loro sono attenti a questa problematica e adottano la sostenibilità come criterio di scelta tra un prodotto e l’altro, tra un fornitore e un altro: chi è più sostenibile – e più abile nel farlo percepire – guadagna un vantaggio competitivo.
La crescente attenzione alla sostenibilità, tuttavia, genera un bisogno di cultura sull’argomento, per sfatare credenze inesatte e far comprendere con maggior precisione il reale impatto di innovazioni e normative. Un caso esemplare è rappresentato dalla plastica, passata in pochi anni da materiale insostituibile a oggetto di demonizzazione.
Un argomento su cui ha provato a fare chiarezza un webinar promosso da HP Indigo e incentrato sulla domanda “Potremmo fare davvero a meno della plastica in futuro?”. A provare a rispondere Veronica Valente, Marketing & Communication Manager di Proteco (converter); Andrea Soli, Sales Manager di Aneco (smaltitore di rifiuti); Fernando Gordilio, Sustainability Manager HP Indigo; e Marco Murelli, Flexible Packaging Account Manager HP.
Un incontro che si è aperto con un paio di dati che inquadrano il settore di cui si parla, ovvero 29 milioni di tonnellate di rifiuti plastici in Europa all’anno. Il 60% di questi, pari a circa 19 milioni di tonnellate, è rappresentato da imballaggi, il 40% dei quali viene riciclato. Ovvero, parecchio viene già fatto, ma molto di più può essere fatto. Non è un caso che siano molteplici, in tutto il continente le collaborazioni tra produttori di materiali plastici e utilizzatori per progetti di riciclo post-industriale (ovvero prima che si arrivi al consumatore finale). Alcuni si concentrano sul recupero del materiale, altri puntano invece sul suo impatto energetico attraverso la termovalorizzazione – ovvero l’utilizzo del fine vita di un rifiuto per garantire energia a un processo industriale.
Fra le criticità emerse si segnalano gli standard di mercato e i materiali poliaccoppiati. I primi possono rappresentare una barriera all’accesso a determinati mercati e in alcuni casi impedire un uso ampio di prodotti riciclati. Un converter come Proteco, per esempio, rifornisce di film plastici il mercato dell’imballaggio alimentare, dove gli standard sono molto elevati e si richiede l’uso di film vergini. Questo chiude a priori all’uso del riciclato e si rende necessario trovare vie alternative per essere sostenibili. La riduzione degli scarti diventa pertanto una priorità e l’adozione di tecnologie di stampa digitale rappresenta una via dando modo di togliere il vincolo di una tiratura minima con conseguente riduzione della creazione di scorte di magazzino a rischio decadimento.
Nel caso dei poliaccoppiati la problematica, come sottolinea Aneco, riguarda la natura stessa dei materiali. Sono infatti complessi da separare e, quindi, da riciclare correttamente. Tecnologicamente parlando esistono macchinari in grado di occuparsi dei poliaccoppiati, ma si tratta di attrezzature dai costi di acquisto e gestione estremamente elevati che le rendono molto rare. In questo caso, una semplificazione dei processi di riciclo passa dalla sostituzione dei materiali poliaccoppiati con altri monocomponente (o quantomeno monofamiliari) che, come ha precisato Murelli, è l’attuale trend del mercato sulla scia di numerosi brand che hanno già compiuto questa scelta per i loro packaging.
I nuovi materiali – ad esempio bioplastiche o plastiche oxobiodegradabili – non sono tuttavia esenti da criticità: a volte vengono lanciati sul mercato tenendo conto solo in parte della fase di riciclo, dove possono emergere difficoltà legate alla necessità di macchinari molto costosi (come per i poliaccoppiati) o alla creazione di eterogeneità tra plastiche con conseguenti difficoltà di settaggio delle macchine. Materiali plastici come la PLA, poi, hanno una struttura che li rende riciclabili con umido o generico, ma che al contempo rende complesso – se non addirittura dannoso – un riciclo con le altre plastiche.
La domanda da cui tutto il webinar si è originato, quel “Potremmo fare davvero a meno della plastica in futuro?” dal tono quasi provocatorio, trova la sua risposta nell’impossibilità di sostituire le materie plastiche in ogni loro forma e utilizzo: ci sono settori dove i vantaggi sono imprescindibili (si pensi alla durata dei prodotti alimentari) e altri dove l’uso delle plastiche permette la realizzazione di applicazioni altrimenti impossibili da realizzare – come nell’ambito medicale.
In definitiva, la plastica non può essere abbandonata e, di conseguenza, bisogna evitare quella demonizzazione di cui è oggetto. Ciò che serve è cultura, responsabilità individuale come consumatore finale, obiettivi comuni sia sul suo utilizzo e che a livello normativo. Servono regole certe che tengano conto di tutti i passaggi della filiera, dalla produzione fino al fine vita, e che diano modo di capire a chiunque quale sia il miglior utilizzo di ogni materiale e come vada correttamente riciclato.
Di sostenibilità parlerà anche il numero 202 de Il Poligrafico, con un ricco speciale completamente dedicato all’argomento.
Di Federico Zecchini