La prima volta che la moda è diventata un tema di dibattito all’interno di una conferenza ufficiale delle Nazioni Unite sul clima, come quella appena tenutasi a Glasgow, è stato nel 2009. Si trattava di COP15 a Copenhagen e l’impatto dell’industria dell’abbigliamento sul clima era considerato ancora una questione piuttosto marginale.
Un decennio più tardi, le cose sono cambiate radicalmente. Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente ha rilasciato una nuova versione della fashion chart creata nel 2018, che ora include 130 aziende firmatarie, tra cui, per la prima volta, LVMH, e richiede un impegno generale più forte per dimezzare le emissioni di carbonio entro il 2030 (e raggiungere l’ambito net zero entro il 2050).
Federico Marchetti, ex presidente di Yoox Net a Porter, ha presentato un ID digitale creato dalla task force della moda della Sustainable Markets Initiative del Principe Carlo: un’etichetta scannerizzabile per abiti che, utilizzando la tecnologia blockchain, consente di tracciare ogni fase di vita del prodotto.
E Textile Exchange, una ONG che si occupa di creare standard globalmente condivisi dall’industria della moda, ha presentato una richiesta di policy commerciale ai governi nazionali sostenuta da 50 marchi. Sostanzialmente si tratta di una richiesta di creare strutture tariffarie e di import-export che incentivino le aziende a usare materiali ecologicamente sostenibili.
Dopo “riuso” e”recupero” una delle parole di cui si sente più spesso parlare è “rigenerativo” che prende spunto dall’agricoltura rigenerativa, una tecnica agricola che aiuta a ripristinare la salute e le sostanze nutritive del suolo. Uno degli aspetti meno discussi della moda è proprio il fatto che sia strettamente intrecciata con l’agricoltura; tanto che molti marchi stanno investendo per sostenere l’agricoltura rigenerativa. Un altro concetto emerso è quello del nearshoring, che indica il fatto di affidarsi a fornitori non necessariamente locali, ma geograficamente non troppo lontani.
Parlando delle iniziative dei brand, nel corso della conferenza, Pam Batty, VP Corporate Responsibility di Burberry, ha affermato che, ora più che mai, è necessaria un’azione più rapida e coraggiosa per creare un futuro a zero emissioni di carbonio. Amy Powney, direttore creativo di Mother of Pearl, ha sottolineato come l’impegno dei singoli brand non possa bastare e quanto serva un ripensamento dell’intero sistema, a partire da un cambiamento nel comportamento dei consumatori. “Il sistema deve rallentare, considerare sistemi a circuito chiuso e incoraggiare le iniziative di noleggio, riparazione, riciclaggio, riutilizzo superando gli acquisti d’impulso e la metodologia del fast fashion”.