Con l’espressione shady packaging si indicano le confezioni “ingannevoli” che tende a deludere le aspettative del consumatore rispetto al contenuto.

Vi è mai capitato di acquistare qualcosa che, in base alla confezione, si prospettava essere in un certo modo ma vi ha lasciati delusi? Se sì, vi siete imbattuti in uno di quelli che Vicki Strull, designer e contributor di Labels and Labeling, in una sua nota rubrica sulla rivista ha definito #shadypackaging, sarebbe a dire una confezione “ingannevole”, che disattende le aspettative del consumatore. Un argomento che sembra aver solleticato l’interesse dei suoi lettori, dal momento che l’hashtag lanciato su Strull in un post su Linkedin ha in breve raggiunto oltre 1.000 commenti e 10.000 reazioni.

In questa macrocategoria rientra il noto fenomeno della shrinkflation, saltato agli occhi della cronaca già alcuni anni fa. Il termine, nato dall’unione tra il verbo to shrink (rimpicciolire) e il sostantivo inflation (rincaro) indica il processo che spinge i brand a ridurre i formati delle proprie confezioni, senza tuttavia diminuire il prezzo unitario. Tra gli esempi più lampanti c’è quello della confezione di Toblerone e di Nutella che, anche a causa delle pressioni delle associazioni dei consumatori e dei commenti indignati sui social dei propri consumatori, ha dovuto ammettere di aver ridotto di circa 50gr i suoi vasetti per il mercato inglese e belga, senza variazioni sostanziali sul costo.

Un altro esempio di shady packaging riportato da Strull è quello del packaging eccessivo, quelle confezioni opulente che spesso accompagnano i nostri ordini online. La domanda che Strull si pone riguarda la sostenibilità di questa tipologia di confezioni “Quando l’azienda spedisce un articolo da 2 pollici in una scatola da 17 pollici piena di altri materiali di riempimento, c’è qualcosa che non sta funzionando nella sua strategia di sostenibilità, tanto più se sulla scatola si legge che l’articolo è stato “confezionato con cura” per ridurre il proprio impatto sull’ambiente”.

Lo confermano anche i dati forniti dall’ultimo Osservatorio Packaging del Largo Consumo di Nomisma.  Nella scelta del packaging, si legge nel report, il 59% predilige l’assenza di imballaggi in eccesso, il 58% preferisce confezioni completamente riciclabili o prodotte con un ridotto impatto di CO2 (46%), utilizzando materiali riciclati *45%) o biodegradabili.

L’aspetto su cui l’articolo invita a riflettere packaging e brand designer è la necessità di far convergere le necessità di marketing – per cui, una scatola accattivante stuzzica maggiormente l’interesse – con quella, altrettanto importante, di conquistarsi la fiducia e la simpatia del consumatore. Una confezione che oltre ad essere bella, risulta comoda, funzionale e rispecchia le attese rispetto a ciò che contiene induce a effettuare nuovamente l’acquisto. In fondo, anche se non si dovrebbe, conclude Strull, i clienti giudicano “il libro” dalla sua “copertina”.