Adesso non è più soltanto un’ipotesi, ma una realtà. Il countdown per la quotazione in Borsa di Fedrigoni è cominciato ufficialmente a Piazza Affari con l’avvio del collocamento, fase che si protrarrà fino a giovedì 23 ottobre. L’ultimo atto, con l’avvio delle contrattazioni sul titolo del gruppo veronese, è stato fissato per mercoledì 29. Nel frattempo i vertici della società saranno in road-show per presentare agli investitori numeri, idee e programmi e per chiarire la politica dei dividendi per i prossimi anni, non ancora decisa e ferma al 25% degli utili. Ad affrontare con il presidente Alessandro Fedrigoni il “primo giorno di scuola” a Milano erano schierati tutti i top manager del gruppo: l’amministratore delegato Claudio Alfonsi, il direttore generale Franco Agostinello, il direttore marketing Chiara Medioli e il responsabile area finanza Vittorio Sfligiotti. E sono stati il presidente e l’ad a spiegare i motivi dell’operazione e i progetti di sviluppo del gruppo: “Andiamo in Borsa perché vogliamo crescere: abbiamo determinazione e forza per raggiungere i nostri obiettivi e puntiamo ad acquisizioni in Europa e Americhe”. La Fedrigoni offre al mercato oltre un terzo del proprio capitale (il 35%) a un prezzo per azione che oscillerà tra 5,5 e 7 euro. In cambio riceverà le risorse necessarie per continuare sulla via di uno sviluppo ambizioso, il passaggio più impegnativo nei suoi 126 anni di storia. Il gruppo, del quale fa parte anche un brand di altissimo valore come Fabriano, opera in 110 paesi e l’anno scorso ha fatturato oltre 800 milioni, di cui il 62% all’estero. Con dodici unità produttive tra Italia, Spagna e Brasile, conta dieci società commerciali e oltre 2000 dipendenti. Come Stampamedia ha annunciato a inizio settembre, i primi dati 2014 sono di segno positivo, con ricavi per oltre 440 milioni, in crescita di quasi il 9% sull’anno scorso grazie soprattutto allo sviluppo del segmento cartamoneta. Il risultato netto è passato da 13,9 a 30 milioni (+114%), e un ulteriore rafforzamento viene dalla sensibile riduzione dell’indebitamento, sceso da quasi 143 milioni del giugno 2013 ai 113,8 milioni di quest’anno. Oltre alla carta per banche centrali (banconote con filigrana e sistemi di sicurezza), si rafforzano le aree delle carte adesive e degli imballaggi per le maison del lusso, una produzione di qualità che nasce quasi tutta in Italia. “Puntiamo a crescere sia con le nostre forze che grazie a nuove acquisizioni, e prevediamo per fine 2014 risultati ancora migliori”, ha confermato Fedrigoni, ben consapevole comunque che la quotazione “è un atto di coraggio oltre che di fiducia. Abbiamo scelto questa via per crescere perché consideriamo la Borsa la strada maestra per accedere al mercato dei capitali. Ora sta al mercato valutare le nostre capacità”. In ogni caso il gruppo veronese si prepara a investire sia con i mezzi propri che con le risorse che saranno raccolte in Borsa. Un’ipotesi verosimile va da 70 a 90 milioni, il che porta a una disponibilità teorica massima di circa 400 milioni. Dove andrà questo gruzzolo? Il management sta esaminando dossier di aziende in Europa (sia in area UE che nei Paesi dell’Est), ma anche in Sudamerica e negli Stati Uniti. Claudio Alfonsi ne fa giustamente una questione di quote di mercato: “Cerchiamo aziende con un’organizzazione solida e reti commerciali diffuse perché puntiamo a conquistare soprattutto la loro clientela”. Davanti a tante porte potenzialmente pronte ad aprirsi, la Fedrigoni considera definitivamente chiusa la trattativa che aveva animato le cronache del settore in primavera per una partnership con gli austriaci di Delfort, forte di un fatturato da 700 milioni, produzione sparsa tra l’Austria, la Repubblica Ceca, la Finlandia e l’Ungheria e quasi 1800 addetti. “Eravamo complementari sui mercati, ma alla fine abbiamo convenuto sul fatto che non c’era margine – ammette lapidario Alfonsi –. Noi vogliamo fare acquisizioni, mentre loro invece pensavano di comprare noi”.