Otto imprenditori denunciati nel Trevigiano per reati tributari e somministrazione fraudolenta di manodopera
È quanto è emerso nei giorni scorsi al termine di un’indagine della Guardia di Finanza, che ha riguardato il packaging e il settore grafico trevigiano. È stato scoperto, infatti, un giro di falsi contratti d’appalto di servizi, per 4,3 milioni di euro, utilizzati per mascherare illecite esternalizzazioni di maestranze, dedite alla realizzazione di prodotti per il packaging e imballaggi in carta e cartone. Sono stati perciò denunciati, come scrivono i quotidiani locali e le agenzie di stampa, alla Procura della Repubblica, a vario titolo, 8 imprenditori, 3 italiani e 5 stranieri, per reati tributari e somministrazione fraudolenta di manodopera. Segnalate anche due società per responsabilità amministrativa.
A tutto questo sono seguite sanzioni per 92 mila euro, per illeciti afferenti alla violazione della normativa in materia di lavoro. In totale sono sei le aziende imputate di frode, tutte con sede in provincia di Treviso, di cui una committente e altre tre che avevano il compito di fornire la manodopera (circa 40 dipendenti) e di ripartirsi i ricavi mediante l’emissione, da parte di ulteriori due imprese, di fatture per operazioni inesistenti pari a circa 750 mila euro. Le indagini, condotte dalle fiamme gialle di Treviso, sono state avviate a seguito di una specifica attività di analisi dei rapporti commerciali tra alcune imprese attive nel packaging e nel settore grafico della marca trevigiana.
Quello portato alla luce è un fenomeno insidioso e grave, perché riguardante il mondo del lavoro, le cui tutele vengono aggirate attraverso un impiego distorto dell’appalto di servizi, stipulato con imprese che provvedono solo formalmente ad assumere i lavoratori e ad assolvere i relativi obblighi fiscali e contributivi. Nella ricostruzione di quanto accaduto – tra le prove ci sono fogli presenze, fogli di calcolo e messaggi di posta elettronica – è stato accertato come i rapporti di lavoro con i vari committenti fossero privi degli elementi che caratterizzano un appalto. In particolare, come si legge su Il Resto del Carlino, i lavoratori, nel corso delle prestazioni, eseguivano gli ordini impartiti dall’azienda committente, i cui amministratori e dirigenti decidevano il numero dei dipendenti quotidianamente necessari, le mansioni da svolgere, gli orari, i tempi e le modalità esecutive.
Emblematico il fatto che gli operai, al termine della giornata lavorativa, consegnavano a un referente un rapportino giornaliero, in cui indicavano la tipologia di commessa per cui avevano lavorato e le ore impiegate. Solo dopo la verifica dell’attendibilità, la società appaltatrice poteva emettere la fattura per i servizi resi. Altrettanto significativo è stato il rinvenimento nella principale società fornitrice di manodopera di un parere legale che evidenziava le criticità nei rapporti con la committente e che quello in essere, in buona sostanza, non era un contratto d’appalto. Da qui l’inesistenza giuridica delle fatture emesse dalle tre società appaltatrici nei confronti della committente.