Nelle scorse settimane abbiamo tratto da un’analisi economico-finanziaria nel settore editoriale svolta dall’osservatorio DataMediaHub i dettagli di un declino che pare ovunque inarrestabile ma che in Italia sembra ormai un’emergenza. I numeri, non solo le sensazioni, parlano di una crisi che per i big player editoriali è industriale ma anche modelli di crescita e di creazione di contenuti. Il calo verticale dei fatturati, la riduzione dei costi del personale e le vendite a picco sono però i sintomi, non la malattia: che è invece, per i grandi gruppi, la difficoltà comune di interpretare l’evoluzione del mercato e di imparare a vendere il prodotto in modo nuovo a misura di cliente, come mostra la sofferenza nella raccolta pubblicitaria e il mancato sviluppo nell’area digitale.
I nuovi dati pubblicati e commentati da Lelio Simi, content curator di DataMediaHub, chiariscono tra l’altro che i tagli agli organici hanno sì portato a una riduzione dei costi, ma non sono serviti né a sistemare i conti né a generare risorse per il rilancio. “Manca una programmazione di lungo periodo – spiega Simi – e il calo dei dipendenti non è compensato da progetti o investimenti che incidano sulla redditività complessiva del business. Idem nelle concessionarie di pubblicità, che sono in rosso da anni e dove si taglia perché non si può fare altro, ma senza una logica”.
In dieci anni, dal 2006 al 2015, i tre maggiori gruppi editoriali italiani (Rcs, il gruppo Espresso e il Gruppo 24 Ore) hanno perso il 25%, pari a 2.540 dipendenti. E il calo è ancor più drastico rispetto al 2008, quando gli organici erano al massimo: quasi 5.000 persone in meno, il 40%. Scende in proporzione anche il costo aggregato del lavoro messo a bilancio dai tre big: 167 milioni, -27%.
Nonostante qualche leggera disomogeneità nel catalogare i dati economici dei gruppi, il risultato e la tendenza appaiono chiari: negli anni pre-crisi gli organici erano ancora in aumento, più forte per Rcs e Gruppo 24 Ore e molto meno nel Gruppo Espresso. Poi, annota DataMediaHub, il calo è inesorabile. L’oscar del taglio va al Gruppo Espresso, sia in assoluto con 1.196 dipendenti (Rcs ne ha persi 1.115) che in percentuale: -35%, contro il -22% di Rcs e il -16% del Gruppo 24 Ore.
I tagli al personale sono proseguiti anche negli ultimi tre anni: – 35% al Gruppo 24 Ore, – 16% per Rcs e -10% al Gruppo Espresso, anche se nel 2015 c’è stata una parziale inversione di tendenza al Sole 24 Ore, che ha visto crescere l’organico dopo anni, mentre all’Espresso sono saltati altri 157 posti e Rcs regge solo perché conteggia ancora i 324 addetti Rcs Libri, ormai in Mondadori.
Anche gli investimenti pubblicitari 2015 sulla carta stampata ci mostrano un muro del pianto. Il fatturato netto della raccolta conferma la flessione tendenziale cronica (-7,2%). Per i quotidiani il calo è stato del 6,6%, più di quanto abbiano perso settimanali e mensili, il cui peso è peraltro cresciuto sul fatturato totale della stampa. Meno valore ma più spazi occupati (il +1% in media), divisi tra un calo dell’1,3% nei periodici e una leggera crescita dei quotidiani (+0,6%), dove gli avvisi nazionali salgono del 2,4%, quelli locali dello 0,5% e le rubriche perdono il 12,2%.
Quindi giornali con più pubblicità che però rende meno. E l’effetto è doppiamente negativo: da un lato si sottraggono spazi all’informazione, e dall’altro questo sacrificio non porta vantaggi alle casse degli editori e impedisce i nuovi investimenti in contenuti, progetti e produttività. E la “svendita” degli ingombri pubblicitari, dicono anche gli analisti economici, porta all’avvitamento della crisi: meno risorse uguale meno idee, lettori più insoddisfatti, nuovi cali. E si replica.
La resa sui prezzi è un fenomeno che conosciamo bene anche nella produzione tipografica, ed è un pessimo segnale. “È il modo più facile per vendere ma anche il più pericoloso. Se il cliente si abitua a comprare a basso costo, riportarlo al livelli superiori poi è un’impresa ardua se non impossibile”, spiega Pier Luca Santoro, partner di DataMediaHub. La soluzione? “Nei quotidiani per ottenere risultati si deve passare da venditori di colonne, riquadri e manchette a consulenti di comunicazione rispetto agli obiettivi del cliente. Io per recuperare non conosco altre strade”.