«Siamo un’azienda con 130 anni di storia: abbiamo attraversato due guerre mondiali, ma un’emergenza simile non si era mai vista» commenta così Luigi Garofoli, titolare dell’omonima tipografia con sede a Sassoferrato, provincia di Ancona. Fondata dal bisnonno Temistocle Cianca nel 1890, Tipografia Garofoli ha sempre beneficiato della vicinanza al distretto di Fabriano e in particolare alla storica cartiera, realizzando manifesti, opuscoli, brochure per le aziende del suo indotto. «Quando nel 1987, ho assunto la guida dell’azienda si stampava ancora con caratteri mobili – racconta Garofoli –. Per venticinque anni abbiamo stampato prevalentemente in offset, per poi abbracciare definitivamente la trasformazione digitale». Di qui, l’idea di aprire un sito e-commerce (manifestiindigitale) che da solo produce circa la metà del fatturato aziendale. I mesi di gennaio e febbraio sono notoriamente quelli più scarichi a livello di commesse, ma a marzo è arrivato il colpo di grazia: ordini totalmente azzerati, tanto che Garofoli ha scelto di chiudere, mandando tutti i propri collaboratori – 5 in totale – in cassa integrazione.
«Mi sono trovato di fronte a un dilemma: mettere a repentaglio la salute dei miei dipendenti o chiudere rischiando di perdere clienti – spiega Garofoli –. Non me la sono sentita di correre il rischio, ma non nego di essere preoccupato. Temo di perdere la relazione con i clienti, che nel frattempo si rivolgono alla concorrenza. Sappiamo di aver preso una decisione saggia, ma ci sentiamo soli.
«Possiamo contare su un modello di business più snello e flessibile rispetto ai grossi online printers – conclude Garofoli –. Siamo una di quelle aziende in cui è ancora il titolare a rispondere personalmente al telefono. Grazie alla disponibilità e alla cura del servizio siamo riusciti a costruire una rete di circa 2000 clienti, che si fidano di noi. Inoltre, negli ultimi anni, l’innovazione digitale ci ha permesso di proporci in maniera più competitiva sul mercato, che oggi ha l’esigenza di ordinare piccoli lotti con maggiore frequenza. Ciò che ci spaventa è l’idea di non riuscire a ripagare gli investimenti tecnologici operati negli ultimi anni; per questo ci aspettiamo che, oltre a rimandare i termini dei pagamenti, il governo preveda incentivi sugli acquisti di macchine, per permettere al mercato di riprendersi. Senza poderosi incentivi statali, il tessuto imprenditoriale italiano – composto prevalentemente da PMI – rischia il collasso».
Di Caterina Pucci