Da oltre 40 anni Faenza Group Spa è attivo nella progettazione e nella stampa di libri di pregio, cataloghi, riviste e packaging di lusso. Con le sue otto sedi, l’ultima delle quali aperta New York, il Gruppo è guidato da Claudio Rossi che ha deciso di mantenere attivi, in queste settimane, tutti i servizi.
Parliamo dell’emergenza, ma prima ci racconti com’è cominciato il 2020.
Quest’anno è partito molto bene a differenza del 2019. Buoni sono stati non solo gennaio, febbraio ma anche questo inizio di marzo con un 15 per cento in più. Noi abbiamo tre stabilimenti e prevediamo una copertura del lavoro di certo fino a fine mese, tutte le commesse saranno portate a termine. Abbiamo già degli ordini per aprile, stiamo cercando si sbloccarli, ma in Italia e in Francia è difficile, e anche a New York si comincia a fare fatica perché sono già tutti a casa e le cose procedono a rilento. Per sbloccare un lavoro a New York abbiamo impiegato nove giorni, di solito tre sono sufficienti.
Che clima c’è ora in azienda?
Stanno lavorando tutti al meglio, sono tutti tranquillamente consapevoli dell’allerta. Si lavora bene, alcuni fanno smart working ma il clima è buono. Certo, siamo molti attenti, consapevoli che basta una piccola cosa e tutto potrebbe cambiare. Negli uffici c’è un terzo della forza lavoro ma la cosa non crea problemi. Stiamo lavorando in tutti i siti, e con i presidi dettati dal governo, con in più quelli ispirati dal buon senso. Abbiamo sempre mantenuto un approccio preventivo, fin dall’inizio dell’emergenza.
Del decreto cosa pensa?
La manovra appena varata è poco o nulla perché a fine mese potrebbe succedere che nessuno paghi nessuno. I clienti non ci pagano, noi non paghiamo i fornitori in una catena che bloccherà tutto. Certo io cercherò di pagare ma se non incasso un milione come faccio a pagare un milione? Ricordiamoci che per la nostra industria la materia prima incide al 75% sul lavoro. Comunque da una settimana sono in contatto con le banche per capire come è meglio muoversi. In linea di massima stiamo cercando di non farci guidare dalle circostanze, ma di gestirle. Il tema vero è la liquidità. I provvedimenti sono talmente minimali che non risolvono il problema. La cassa integrazione ci aiuta per quel 15% di costi, come dire che anziché pagare 150 mila euro di stipendi ne pago meno ma non ho la cassa per pagare il mese dopo. Non bisogna dimenticare che se io non produco reddito per pagare i fornitori, la cassa integrazione è soltanto un micro palliativo.
Lei ha un gruppo molto articolato, come si muovono le diverse divisioni?
Da una settimana si sono fermati gli ordini, ma ne arrivano comunque nella divisione che regge, ovvero quella del packaging, che addirittura lavora più di prima tant’è che abbiamo aumentato i turni. Per i libri posso dire che ancora tutto tiene: tengono più i libri che i cataloghi, anche se presumo che tra una settimana qualcosa si fermi. I nostri clienti più importanti in questi giorni stanno vendendo bene i libri. Bisognerà vedere tra qualche giorno.
E il digitale?
Il digitale è sotto tono, come è noto viene usato per eventi e fiere che, facile intuire, sono del tutto fermi. Il digitale è una tecnologia che i clienti usano per prodotti istantanei e in questo momento non c’è nessuno che lavori con prodotti just in time.
Avete sentito i vostri clienti?
I questi ultimi giorni riceviamo mail di clienti che ci annunciano che non potranno pagarci a causa di eventi saltati o mancanza di cassa. Si tratta soprattutto di clienti della linea commerciale: aziende per le quali abbiamo fatto cataloghi a dicembre o a gennaio, e che ci devono pagare a 120 giorni, e dunque annunciano che non pagano. Discorso diverso per la divisione packaging: i clienti stanno pagando anche perché stanno vendendo, soprattutto nel segmento food, un po’ più del solito.
Quale sviluppo prevede?
Presumiamo di fermarci a un certo punto, credo che prima ci sarà un rallentamento, poi un fermo.
Il suo Gruppo riuscirà a fronteggiare la crisi?
Noi abbiamo le spalle coperte per un po’. Ma se questa situazione si protrae non ce la farà nessuno. Noi abbiamo comprato una decina di aziende negli ultimi anni e non mi pare che ci siano tante aziende in giro che possano reggere molto a lungo.
Se spinge lo sguardo oltre, cosa vede in prospettiva?
Quando tutto ripartirà ci sarà l’esigenza di cambiare alcune aree di business. Già in questi giorni sto pensando a questa ipotesi. In prospettiva vedo che l’area cataloghi potrebbe ridimensionarsi molto, non nel segmento d’alta gamma, piuttosto nell’area commerciale.
Cosa glielo fa pensare?
Dopo che avremo passato mesi in casa connessi giorno e notte con i nostri schermi, le cose cambieranno: usciti fuori dai nostri confinamenti saremo ‘altri’, ci saranno nuove relazioni produttive e dunque la comunicazione cambierà. Le esperienze maturate nella società a livello individuale e collettivo imprimeranno nuove direzioni alla comunicazione. Bisognerà capire le traiettorie, anticiparle, farci trovare pronti.
Le mette ansia il fatto di dover ripensare le forme di business del suo Gruppo?
Tutt’altro. Cambiare mi piace. Anzi, in tutti questi giorni mi ritrovo spesso a pensare come potrebbe essere l’azienda dopo questo evento così sconvolgente, imprevisto e imprevedibile: faccio scenari, mi abituo a immaginare diverse direzioni. La grande sfida è pensare come sarà Faenza Group nel gennaio del 2021, quali nuove opportunità si apriranno. Mentre resisto mi lascio occupare la mente da questi pensieri. È un esercizio che mi affascina molto, mi dà forza, mi fa resistere.
di Anna Aprea