La crisi del settore editoriale è sotto gli occhi di tutti da anni e non coinvolge solo le aziende della stampa, della grafica e della cartotecnica ma anche le case editrici di libri, periodici e quotidiani. Stampamedia segue da vicino le difficoltà (ma per fortuna anche le buone notizie) di quello che per certi versi è l’hardware del comparto, cioè la produzione industriale. Ma il software, cioè la creazione e la distribuzione dei contenuti, insomma il progetto culturale, non è messo meglio.
Solo che mentre una tipografia che fallisce fa notizia perché coinvolge concretamente fornitori e dipendenti, i gruppi editoriali raschiano il fondo del barile con difficoltà crescenti, calo di copie, ricavi in caduta libera, tagli di costi per servizi e personale, mancanza di idee… però sono sempre qui. Ma le dimensioni della voragine (che si sta allargando da anni) non sono facili da vedere, se non si scava tra gli indici dei bilanci: e quando parlano i numeri, le chiacchiere tacciono. Finora però mancava un’approfondita analisi economico-finanziaria del settore editoriale in grado di mettere in evidenza le radici e i frutti di una crisi che è soprattutto di strategia e di progettualità.
Ci ha pensato DataMediaHub, un osservatorio sui media italiani nato per aggregare dati sparsi e presentarli in forma grafica per aumentarne l’impatto e aiutare a capire cosa succede alle testate e alle aziende, alla pubblicità, al digitale e in definitiva al mondo della comunicazione. Abbiamo chiesto a Lelio Simi, giornalista toscano che di DataMediaHub è content curator, di illustrarci gli aspetti di maggior interesse che emergono dai dati raccolti ed elaborati.
“Il database confronta i bilanci degli anni precedenti e dimostra che anche se sembrano tutti in salute il quadro è ben diverso. Da dove viene la crisi? Beh… siamo andati in profondità cercando le strategie – dice Simi – ma non le abbiamo trovate. Ad esempio constatiamo che la percentuale delle voci di fatturato dei media tradizionali non sia mai cambiata: è rimasta fissa per diffusione, pubblicità e altri ricavi. Insomma, viene riproposto lo stesso modello immutabile, si ignorano gli sviluppi, l’integrazione col web, il content marketing. Inutile stupirsi dei risultati: la crisi dipende in buona parte dal fatto che mancano le idee e che le novità vengano ignorate o trascurate”.
Il quadro del settore è sconfortante: la mancanza di progettualità costringe a navigare a vista, senza obiettivi precisi. Secondo DataMediaHub si è fatto poco per fidelizzare i lettori, mentre le testate straniere hanno fatto passi avanti sia nel distribuire i contenuti tra carta e web che nel proporre abbonamenti segmentati per interessi o per fascia d’età, favorendo con il basso prezzo i giovani ancora interessati. “All’estero queste strategie sono state costruite in anni di tentativi, avvantaggiandosi degli sviluppi tecnologici, mentre in Italia si assiste addirittura alla decrescita dei ricavi nel digitale – dice Simi –. È paradossale, è come se gli editori non ci credessero”.
Tra le chart messe a disposizione sul sito, DataMediaHub esamina i bilanci dei principali gruppi editoriali italiani dal 2009 al 2014: c’è, ironicamente ma non troppo, “tutto quello che avreste voluto sapere su RCS, sul gruppo Espresso, su Il Sole 24 Ore, Caltagirone e sul gruppo Poligrafici. In alcuni segmenti è presente anche Mondadori: non ovunque, perché non possiede quotidiani e ciò avrebbe reso le classifiche meno uniformi. Inoltre i motivi della crisi dei media tradizionali, un’analisi dell’affare Rcs Libri – Mondadori (il business dell’anno), il pessimo rapporto tra mezzi di informazione e digitale e l’andamento dei principali gruppi internazionali.
Uno sguardo alle semestrali presenta i dati più aggiornati per anticipare le tendenze del 2016. Si possono azzardare previsioni? “Speriamo di vedere delle novità: ad esempio il piano industriale Rcs è interessante – auspica Simi –, come le ipotesi di rilanciare i ricavi agganciando nuovi lettori-clienti. Qualche azienda vorrebbe puntare di più sul digitale. Per ora sono promesse, ma è chiaro che o si inverte la tendenza o la crisi peggiorerà e tagliare i costi non basterà più per far quadrare i conti”. Organici e costi del personale, infatti, saranno un tema caldo dell’anno. Ne riparleremo.