Si stringono i tempi per l’accordo con le banche che darebbe il via alla ristrutturazione del debito (oltre 1 miliardo di euro) della Burgo, assicurando così il futuro e il rilancio di uno dei principali produttori europei di carte grafiche e speciali. Come riportava nei giorni scorsi il quotidiano Il Sole 24Ore le banche creditrici e la cartiera di Altavilla Vicentina avrebbero trovato un compromesso per sbloccare il piano di ristrutturazione del gruppo, che sarebbe oramai in dirittura d’arrivo e potrebbe essere firmato entro maggio. L’accordo tra gli istituti di credito e l’azienda sarebbe stato trovato rivedendo lo schema di ripartizione dei profitti in caso di vendita della società mentre non verrebbe concesso nessun lock up (il periodo in cui management e soci non possono cedere le azioni) di tre anni.
La famiglia Marchi, socio di controllo della Burgo attraverso la holding Hgm con il 50,6%, aveva fatto una precisa richiesta agli istituti di credito che nell’ambito del piano di salvataggio entreranno in possesso dei cosiddetti strumenti finanziari partecipativi (sfp). Ovvero avere un lock up di tre anni. Le banche, tuttavia, su questo punto sono state irremovibile nel dire no. In compenso però si sono sedute al tavolo per rivedere un punto chiave dell’accordo. In prima battuta era infatti previsto che il ricavato della vendita di Burgo fosse ripartito all’80% per saldare i debiti e al 20% a favore degli attuali azionisti rappresentati oltre che dalla famiglia Marchi, anche da Mediobanca (22,1%), UniCredit (3,8%), Generali e Italmobiliare con l’11,68% a testa. La nuova versione prevederebbe invece due casi: se la vendita del gruppo avviene sulla base di un equity value fino a 200 milioni, la ripartizione è l’80% alle banche e il 20% agli attuali azionisti. In caso di un valore superiore ai 200 milioni, l’eccedenza sarà ripartita diversamente, con il 70% che andrà agli attuali soci e il 30% alle banche creditrici. Il tutto accompagnato da una governance che prevede per i creditori la scelta di tre consiglieri su sette del board e il gradimento sulla nomina dell’amministratore delegato e del direttore generale.
Il piano prevederebbe quindi la ristrutturazione di quasi 800 milioni di indebitamento a medio lungo termine e 400 milioni di linee a breve. In questo quadro le banche hanno accettato, in base a quanto aveva deciso l’assemblea di Burgo a dicembre, dopo che le divisioni all’interno dei rami della famiglia Marchi erano state superate, di convertire 200 milioni in strumenti partecipativi e 100 in un convertendo. La lista delle banche vede innanzitutto UniCredit esposta verso Burgo per 160 milioni, Mediobanca, storicamente vicina al gruppo, ricoprire il doppio ruolo di socio (22%) e finanziatore (è esposta per 473 milioni), il Banco Popolare (56 milioni) e Intesa Sanpaolo (37 milioni). Ci sono poi altre banche come Mps, Bpm, Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Bnl che sarebbero esposte principalmente sulle linee a breve, per un totale di 500 milioni circa. Accanto alla conversione necessaria per riequilibrare la struttura finanziaria è previsto inoltre, all’interno delle garanzie, il pegno su quasi il 50% del capitale da parte delle banche.
Il rafforzamento patrimoniale e il riequilibrio finanziario sono un passaggio fondamentale per garantire il futuro dello storico gruppo cartario guidato attualmente dal presidente Girolamo Marchi e dall’ad Paolo Mattei che secondo le stime preliminari avrebbe chiuso il 2014 con ricavi superiori a 2,2 miliardi di euro e un Ebitda intorno ai 95 milioni ed è impegnata in un piano di riorganizzazione industriale e produttivo di fronte alle conseguenze della crisi del settore editoriale e in generale della carta stampata che dal 2007 a oggi ha comportato una riduzione degli organici e il riassetto, la chiusura e/o la cessione di alcuni stabilimenti tra i quali quelli di Marzabotto, Chieti, Mantova, Verzuolo e Avezzano.