Ancora una volta Fedrigoni rivede le proprie strategie: non tanto i progetti di sviluppo sostenuti da un vasto piano di acquisizioni all’estero, confermati più volte e in piena fase esecutiva, ma “dove” reperire le risorse per procedere lungo questa strada. La via della quotazione in Borsa ha subito nell’ultimo anno una serie di accelerazioni e di frenate a causa dell’andamento incerto di Piazza Affari, e oggi questa parte del piano sembra forse definitivamente accantonata. Ma chiusa la porta di Palazzo Mezzanotte si aprono subito nuove opportunità per il gruppo veronese.
E l’alternativa potrebbe essere una solida iniezione di… Charme. Il fondo di investimento gestito da Montezemolo Sgr che porta questo nome molto “made in Italy” ha infatti avanzato un’offerta che la dirigenza delle cartiere sta esaminando con molto interesse. Per finanziare la crescita al posto della Borsa potrebbe quindi aprirsi la via del private equity: con la mediazione di Unicredit come advisor sarebbero in corso – in forma riservata ed esclusiva – trattative per la cessione di una considerevole quota di minoranza a Charme.
Il fondo della famiglia Montezemolo avrebbe avanzato una proposta considerata decisamente migliore rispetto a quelle di altri operatori, tra i quali Clessidra, già specializzato nell’alta moda e nei brand italiani di eccellenza, e il Fondo Strategico Italiano guidato da Maurizio Tamagnini, e anche diversi fondi stranieri. A dimostrazione di quanto Fedrigoni faccia gola agli investitori, Charme avrebbe valorizzato il gruppo cartario circa sette volte l’ebitda del 2014.
La trattativa in esclusiva dovrebbe durare fino a giugno: durante questa fase Charme punterà ad aggiudicarsi una quota di minoranza, anche perché questa, a quanto si apprende, sarebbe la soluzione preferita dai vertici della Fedrigoni. Con più di 2000 dipendenti e dodici stabilimenti di cui nove in Italia, due in Spagna e uno in Brasile), capaci di un catalogo con ben 13 mila referenze, la società veronese è attiva in 110 Paesi. Si era calcolato che portando in Borsa il 40% del capitale Fedrigoni avrebbe potuto ottenere tra i 440 e i 560 milioni. Fedrigoni è controllata dalla holding di famiglia San Colombano, con una minoranza di ex azionisti Cartiere Miliani Fabriano.
Il collocamento azionario previsto e poi ritirato più volte fino allo scorso marzo prevedeva una offerta pubblica di vendita da parte della proprietà e un aumento di capitale rivolto alla crescita e a potenziali acquisizioni. Un percorso che come detto il gruppo ha dimostrato nei fatti di poter percorrere anche senza l’aiuto dell’azionariato diffuso. Un mese fa, ad esempio, ha annunciato negli Stati Uniti l’acquisizione di GPA, Gummed Papers of America, specialista nella distribuzione di supporti per la stampa digitale, per un valore di 50 milioni di dollari.
E che non si tratti di un fuoco di paglia lo dimostra anche la notizia che Fedrigoni ha acquisito il 100% del capitale sociale di Arjo Wiggins Ltda, una società brasiliana controllata da Arjo Wiggins (parte del Gruppo Sequana), l’unico produttore sudamericano di carta per banconote, di carte speciali e di sicurezza, per un valore pari a 85 milioni di euro. Arjo Wiggins Ltda ha chiuso il 2014 con un fatturato di circa 70 milioni. Si apprende inoltre che degli 85 milioni del prezzo concordato, 5 milioni saranno pagabili nel corso del 2016, al raggiungimento di specifiche condizioni e risultati.
Con questa operazione, Fedrigoni non solamente dimostra la capacità di crescere all’estero, in particolare in aree a forte sviluppo potenziale come il continente sudamericano, ma si rafforza in un settore, quello della produzione e vendita di carte ad alto valore aggiunto, prodotti di sicurezza e prodotti autoadesivi, che la vede già in ottima posizione a livello globale con la produzione di banconote sia per la Banca Centrale Europea che per Paesi africani e asiatici.