Esiste un mercato nel quale la nostra filiera di stampa editoriale è vincente non solo grazie alla qualità della produzione, ma soprattutto per la velocità di esecuzione e la reattività, cioè la capacità di fare fronte alle commesse e di inseguire velocemente o addirittura precedere le tendenze. Questo mercato è la Francia, dove la forza delle nostre aziende di stampa e la loro abilità nelle scelte di posizionamento strategico sta addirittura mettendo sul chi vive i produttori locali.
Il dato allarmante per l’industria transalpina è che oggi il 30-40% dei libri sono d’importazione e i concorrenti non sono gli ultimi arrivati dell’Estremo Oriente, ma i Paesi confinanti, tra cui l’Italia brilla. Una quota di import definita “significativa”, che vede presenti un centinaio di competitor ai quali i produttori locali non riescono a opporre se non una tenue resistenza. Lo sottolinea il rapporto “La stampa in Francia: il futuro dell’industria del libro” appena presentato su iniziativa dell’Unione delle industrie di stampa e comunicazioni e dello Stato francese, presente attraverso la Direzione generale per le imprese, che condividono l’allarme.
Il deficit di competitività dei francesi non è uguale in tutti i settori. I libri in bianco e nero e a due colori (i segmenti che raccolgono il 59% del fatturato e rappresentano il 58% dei libri importati) vengono prodotti in un raggio di 1500 chilometri da Parigi, e l’Italia è la meglio posizionata in questa che è tutt’altro che una nicchia, appunto grazie alla sua reattività.
Nei libri illustrati a colori (segmento che raccoglie il 34% del fatturato e il 28% dei libri importati) la concorrenza proviene da tutto il mondo, “ma per ragioni storiche l’Italia mantiene la posizione predominante” seguita dalla Spagna, precisa il rapporto. I fumetti (con una quota del 6%) hanno come provenienza il Belgio e l’Italia, mentre i prodotti definiti “complessi”, ovvero volumi per la prima infanzia e libri-giocattolo (7% sia come fatturato che come import) sono fabbricati in Asia e in particolare in Cina per risparmiare sui costi della manodopera.
I primi tre fornitori di libri alla Francia sono l’Italia con ben il 27% dell’import grazie a qualità e velocità, la Spagna (17%) grazie ai prezzi più contenuti, e l’Asia (Cina, Singapore e Malesia) con il 15%. Seguono la Polonia (11%) che sta sviluppando una forte capacità di produzione, mentre la Germania e il Belgio mantengono quote pari a solo il 5% e il 3%. Spiccano per sviluppo ma non per volumi i Paesi dell’Europa Orientale, cresciuti dallo 0,93% del 2009 al 2,36% del 2013.
Oggi la Francia è un mercato particolarmente interessante. Gli stampatori stranieri intervistati per il rapporto sono attratti dalle sue dimensioni e dallo scenario editoriale ampio e variegato, dalla stabilità (dal 2008 a oggi c’è stata una parziale erosione, non un crollo come in Spagna o in Italia), dal rispetto dei tempi di pagamento e dalla capacità di programmare per tempo ordini e acquisti.
Le aziende italiane hanno quindi tutte le ragioni per investire energie e risorse sulla Francia, che si conferma uno dei principali mercati europei del libro ma non riesce a difendere le sue posizioni nella produzione dei segmenti principali a tutto vantaggio dei Paesi europei vicini e parzialmente dei Paesi asiatici. Ma gli stampatori francesi su quali punti di forza basano la loro reazione sia in difesa del mercato interno che per farsi avanti all’estero con la loro esportazione?
Il rapporto presenta luci e ombre: in positivo ci sono il rispetto delle scadenze e la buona qualità di lavorazione, mentre in negativo il posizionamento nella fascia di prezzo medio che non lascia molti spiragli rispetto ai Paesi vicini. Inoltre spesso l’industria francese non brilla per competenze tecniche (in particolare nella gestione del colore e per i prodotti non standard), per la qualità del servizio e per i macchinari, a volte più obsoleti di quelli dei concorrenti stranieri. Per finire, Parigi paga anche un’accentuata delocalizzazione della produzione.
Ogni mondo è paese, insomma, e in mezzo a tante difficoltà per i nostri produttori non è male constatare che – almeno sul mercato transalpino – è l’Italia a fare la parte del leone.