Con il graduale addio alla plastica che vedrà, secondo l’Unione Europea, la sua messa al bando dal 2021 per i prodotti usa e getta, l’industria è alla ricerca di nuovi materiali ecocompatibili, riciclabili e biodegradabili per gli imballaggi
Dalla plastica alla bioplastic. Nell’era dell’economia circolare, della responsabilità sociale e delle sempre più stringenti normative ambientali (con il graduale addio alla plastica che vedrà, secondo l’Unione Europea, la sua messa al bando dal 2021 per i prodotti usa e getta) l’industria è alla ricerca di nuovi materiali ecocompatibili, riciclabili e biodegradabili per il packaging. Una frontiera, dal settore alimentare e alla cosmetica, che va oltre i traguardi già raggiunti in questi anni con processi produttivi sempre meno impattanti (dalla riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera agli inchiostri ad acqua) all’utilizzo di carte e cartoncini certificati Fsc o provenienti dal riciclo. E così si sperimentano, all’interno di una filiera che va dalle aziende alle cartiere alle cartotecniche (e in parte già si utilizzano), imballaggi innovativi.
Da dove meno te lo aspetti
Il premio Best Packaging (sezione ambiente) degli Oscar dell’imballaggio, assegnati dall’Istituto italiano imballaggio e dal Conai, tre anni fa era andato a Crush fagiolo realizzato dal gruppo vicentino (sede a Pianezze San Lorenzo) Lucaprint. Un progetto nato in collaborazione con due attori fondamentali della propria filiera come cartiere Favini (partner fornitore di Lucaprint) e l’azienda Pedon, leader nella produzione e commercializzazione di cereali, legumi e semi. Crush fagiolo, che aveva confermato, come ricorda Alberto Luca, presidente del gruppo vicentino, “la trasformazione della nostra azienda in ottica sempre più green” (per i propri imballaggi viene usato nell’80% cartone proveniente da riciclo e il restante 20% da foreste gestite in modo sostenibile, la produzione avviene con la riduzione delle emissioni di CO2 e lo scorso Natale il budget regali è stato destinato alla riforestazione dei boschi dell’altopiano di Asiago colpiti dalla tempesta che aveva distrutto migliaia di conifere nel Veneto), è un astuccio fortemente innovativo grazie all’utilizzo di un materiale realizzato con l’utilizzo degli scarti non commestibili proprio dei fagioli.
Verde come un’alga
Sempre in provincia di Vicenza spicca l’approccio totalmente bio anche nel packaging di Vagheggi, leader nella cosmetica professionale, che per tutti i prodotti a marchio Vagheggi Phytocosmetici, sottolinea Valeria Cavalcante amministratore delegato dell’azienda, “sono confezionati con astucci di carta ecologica e contenitori primari che non rilasciano ftalati”. Per quanto riguarda i prodotti a marchio Vagheggi della linea BIO+ il pack è stato creato per rispondere alle richieste dei consumatori in ordine di estetica e nel rispetto della filosofia bio di Vagheggi. Sul fronte del packaging, aggiunge Cavalcante, questo ha portato a scegliere di utilizzare la Shiro Alga carta, una carta ecologica innovativa, biodegradabile, certificata FSC di Favini nata negli anni Novanta dalle alghe infestanti della Laguna di Venezia. Oggi per produrla si usano le alghe in eccesso provenienti da ambienti lagunari a rischio di tutto il mondo. Tutto il processo produttivo di Shiro Alga carta è virtuoso. Favini ha scelto infatti di neutralizzare le emissioni residue non evitabili di Shiro per aumentare il valore al prodotto e il proprio livello di Corporate Climate Responsability. Grazie a un’azione di Carbon Offset, le emissioni generate per produrre la carta sono interamente compensate da Carbon Credit acquisiti da Favini per finanziare attività in grado di assorbire CO2 nell’atmosfera.
La ricerca al servizio del packaging
La sempre maggiore attenzione della filiera del packaging all’economia circolare e alla sostenibilità ambientale spicca anche dai recenti Oscar dell’imballaggio Best Packaging assegnati quest’anno dall’Istituto italiano imballaggio nella sezione ambiente. Riconoscimenti che hanno riguardato l’eco sacco barriera di Adecarta, una carta riciclabile e compostabile resistente a liquidi e grassi per rosticcerie, pescherie e Gdo. La vaschetta con coperchio per ortofrutta (con un minimo dell’80% di plastica riciclata) di Coop Italia, la confezione monomateriale (100% riciclabile) di Goglio, i materiali bio-based certificati ENI3432 dell’imballaggio della confezione di stracchino Nonno Nanni, il progetto green box di Parmalat e Tetra Pak (con l’utilizzo di materiale da riciclo di sfridi del processo di confezionamento) e la nuova cassa-espositore per i biscotti Mulino Bianco (con una riduzione del 44% del consumo di materiale e un meno 30% di impatto ambientale) di Barilla.
Addio plastica usa e getta
L’utilizzo di nuovi materiali bio riguarda in particolare i prodotti usa e getta, come piatti, posate e bicchieri. Il bio packaging che in Italia distribuisce per esempio Bio Green Gate, azienda leader in questo settore con sede operativa a Trescore Balneario in provincia di Bergamo. Bio Green Gate è stata tra le primissime aziende in Italia a puntare sul packaging biodegradabile per l’industria alimentare. Il fondatore, Adriano Ferrari, che viaggiava in tutto il mondo per lavoro, vide che in diversi Paesi si usavano bioplastiche e decise di importarle. Da quando nel 2016 è mancato, è la moglie Maura Chiesa a portare avanti l’azienda insieme alle figlie: Elena si occupa dell’amministrazione e Caterina, la più giovane, è responsabile della comunicazione e dei social. Bio Green Gate distribuisce piatti, bicchieri, posate e confezioni monouso per il dettaglio, il catering, i grossisti, prodotti (e certificati per eco-sostenibilità, riciclabilità e biodegradabilità) utilizzando amido di mais, carta riciclata o polpa di canna da zucchero. “La bioplastica – racconta Caterina – permette di diminuire di molto i livelli di inquinamento perché non deriva dal petrolio”. Il ricorso a fibre vegetali, aggiunge, fa sì che una volta utilizzati i prodotti usa e getta non vengano inviati alle discariche ma possono essere raccolti con l’umido per la trasformazione in siti di compostaggio. Se la bioplastica è già una realtà, non sempre può sostituire la plastica. E il suo utilizzo anche da parte delle grandi industrie alimentari avviene gradualmente. È la strada intrapresa da un gruppo leader al mondo come Ferrero. Alla recente presentazione del nono Rapporto di responsabilità sociale d’impresa del gruppo di Alba, Paola Avogadro, Ferrero global packaging design manager, ha raccontato le sfide e l’approccio utilizzato dall’azienda della Nutella nel ridisegnare o nel concepire ex novo i propri imballaggi, concentrandosi sia sull’aspetto strategico che sui primi risultati concreti ottenuti negli ultimi anni.
La “Ferrero Way”
“Da anni usiamo diversi materiali selezionati per le loro caratteristiche specifiche in funzione del singolo prodotto – ha spiegato Paola Avogadro. “Su un totale utilizzo di packaging di circa 430 mila tonnellate, il 40% è vetro completamente riciclabile, il 40% è carta e cartone da filiera certificata, anch’esso completamente riciclabile, e il restante 20% è plastica”. In Ferrero, ha aggiunto, “l’attenzione alla plastica è elevata ma, come da tradizione, ci muoviamo nella Ferrero Way. Niente fughe in avanti, niente greenwashing o statement senza fondamento. Niente scelte ‘di comodo’ insomma. Stiamo rivedendo e riprogettando alcuni imballi in modo da garantire una migliore circolarità ma lo vogliamo fare bene partendo da dati scientifici, analizzando le diverse opzioni e sperimentando la reale riciclabilità tramite studi pilota condotti presso impianti di riciclo”. La strategia di Ferrero basata sulle 5 R (riduzione, rimozione, riciclo, rinnovabilità, riuso) ha permesso negli ultimi cinque anni di risparmiare oltre 6.500 tonnellate di plastica rigida nelle confezioni di Estathè, delle praline, dei tappi Nutella. Ma non di eliminare completamente la plastica per cui la scommessa vincente, secondo Paolo Glerean, membro del board dell’associazione dei riciclatori di plastica europei Plastics Recyclers Europe, e Giorgio Quagliolo, presidente di Conai, si basa sia sul ri-circolo virtuoso degli imballaggi sia nella loro progettazione tenendo proprio conto della loro riciclabilità a fine vita.
Recuperare gli scarti
Come per altre sfide anche quella della bioplastica e dei nuovi materiali non sempre può essere vinta. Sia per il packaging alimentare sia, e ancor di più, per quello della cosmetica, anche se in futuro questi limiti potrebbero essere presto superati. Un percorso che riguarda le aziende di stampa e cartotecniche più innovative e attive sul fronte green, come la Verve di Vedano Olona che proprio quest’anno compie sessant’anni. Un’azienda con il Green Lab impegnata nella ricerca di nuovi imballaggi e nuovi materiali ecocompatibili. Oggi alcune bioplastiche sono biodegradabili ma solo in condizioni di compostaggio industriale, oppure non sono adatte per il packaging primario dei prodotti cosmetici che, essendo attivi, fanno sì che il contenuto in poco tempo comprometta il contenitore, sottolinea Maurizio Pagani, manager dell’azienda. L’approccio green di Verve prevede di proporre ai clienti lo sviluppo di nuovi prodotti che tengano conto dell’impatto ambientale. Il presente e il futuro sostenibile del packaging, spiega sempre Pagani, riguarda l’utilizzo del R-Pet, il materiale plastico su cui si è meglio saputo interpretare la logica del riciclo con lo sviluppo di un evoluto sistema di recupero e riqualificazione degli scarti. Il risultato è la disponibilità di materia prima seconda, con qualità valide per il contatto alimentare e ottime caratteristiche estetiche. I R-Hdpe-Rpp sono invece disponibili da tempo ma con una qualità inadeguata per articoli di uso cosmetico e alimentare: hanno subito recentemente un netto miglioramento dei sistemi di selezione e lavaggio che, in aggiunta alla tecnologia di coestrusione, permette la produzione di articoli con caratteristiche funzionali ed estetiche interessanti. Verve utilizza per i suoi imballaggi anche il Green PE (prodotto dalla brasiliana Braskem), un polietilene di origine vegetale (canna da zucchero) che ha le stesse caratteristiche del PE tradizionale cui aggiunge la qualità di avere un’impronta di carbonio negativa. Infine, la bioplastica del futuro prossimo, conclude il manager di Verve, si chiama Pef, un poliestere di origine vegetale con caratteristiche di resistenza e barriera, oggi in fase di sviluppo per l’industrializzazione. Unirà il beneficio di un’impronta di carbonio negativa alla garanzia di migliori condizioni di conservazione dei prodotti.
Bio-cartone ondulato
L’innovazione continua caratterizza anche Lic Packaging (parte del gruppo spagnolo Saica), l’azienda di Verolanuova (Brescia) attiva in tutti i settori del packaging a partire dall’alimentare. Fondata nel 1952 da Giovanni Bertoldo e con 96 milioni di euro di ricavi (dati 2018), Lic Packaging offre dall’imballo primario fino all’espositore per il punto vendita. “La carta è la nostra passione – sottolinea Cristina Bertoldo, amministratore delegato di Lic Packaging. “Dal 1991 abbiamo un ondulatore che ci permette di creare fogli in cartone per soddisfare le esigenze tecniche dei nostri clienti, siamo stati i primi in Italia e in Europa a sperimentare con la carta con l’obiettivo di dare ai consumatori finali un packaging davvero sostenibile e performante che li aiuti anche nella cottura domestica del cibo”. Lic ha creato la linea di business Eco&Food dedicata al packaging al contatto diretto con il cibo. “Cinque anni di investimenti – aggiunge Giorgio Mariani, business developer di Eco&Food – ci hanno portato a sviluppare nuovi materiali mixando diverse tipologie di carte e onde a basso spessore. Questi nuovi materiali al 100% carta e plastic free hanno caratteristiche prestazionali migliori del cartoncino teso accoppiato alla plastica”. Il fiore all’occhiello di Eco&Food è HT Board – certificato Fsc e per compostabilità e idoneità alimentare – con il quale, conclude Mariani, “possiamo realizzare strutture performanti in tutte le situazioni: dalla catena del freddo ai forni industriali, dai frigo all’interno della Gdo al microonde di casa”.
Biodegradabile in due mesi
L’innovazione e la sostenibilità riguarda anche il packaging in cartone ondulato prodotto da Sada. Si tratta, spiega Valentina Sada, responsabile marketing e comunicazione del gruppo di Pontecagnano (Salerno), di un materiale versatile completamente rinnovabile e riciclabile. Un materiale che proviene dalla natura perché è a base di cellulosa, di collanti naturali e può essere riciclato rapidamente. Gli inchiostri utilizzati sono a base d’acqua e, se disperso nell’ambiente, si biodegrada in due mesi (fonte Gifco e Fefco). Il gruppo Sada, conclude Valentina, dal 2013 è parte di una rete d’imprese chiamata 100% Campania. Attraverso la rete, l’azienda ha integrato a monte il suo processo offrendo packaging ecosostenibile e grazie alla cartiera Cartesar si crea un closed loop supply chain che parte dalla raccolta del macero in carta e cartone presso gli stabilimenti dei clienti, diventa bobina e poi di nuovo scatola. Esempio concreto di circular economy.
di Achille Perego