Un “Indicatore di circolarità di materia” per misurare l’efficacia di un prodotto o di una società nella transizione da un modello economico lineare a un modello circolare, e ancora l’andamento dell’industria cartaria italiana, fra riciclo e sostenibilità. È stata presentata la 21ª edizione del Rapporto Ambientale dell’Industria Cartaria Italiana dal titolo “L’economia bio-circolare della carta” e che riporta dati del 2018-2019, scritto con il supporto di Ambiente Italia da Assocarta e Legambiente. Il rapporto è stato presentato dai presidenti Lorenzo Poli di Assocarta e Stefano Ciafani di Legambiente, con la partecipazione della vicepresidente di Confindustria con delega all’ambiente Maria Cristina Piovesana e con un breve saluto di Roberto Morassut sottosegretario al ministero dell’Ambiente.
L’industria cartaria in Italia è stata tra i primi settori industriali ad aver pubblicato (dal 1999) un rapporto ambientale e quest’ultima edizione introduce un indicatore in grado di riconoscere “l’impegno profuso sul fronte ambientale dai nostri imprenditori”, ha detto Poli. La dimensione “circolare” del settore può essere quantificata con l’indicatore di circolarità di materia (MCI Material Circularity Indicator) sviluppato da Ellen MacArthur Foundation insieme a Granta Design e con il supporto dell’Unione Europea. MCI misura la dimensione del materiale rigenerato (proveniente o destinato a riuso e riciclo di materia, inclusi i prodotti agro-forestali provenienti da coltivazioni e gestioni sostenibili) nel flusso di materia del prodotto. L’indicatore assegnato agli imprenditori italiani è pari a 0.79 in una scala da 0 a 1: «Un valore elevato, ottenuto grazie alla capacità del settore di investire in materie prime rinnovabili (fibre vergini da foreste certificate e amidi), e di prendersi cura dei suoi prodotti reimmettendo nel ciclo produttivo carta e imballaggio da riciclare. Il 57% della nostra produzione proviene da fibre riciclate (negli imballaggi siamo oltre l’80%). La carta potrebbe sostituire il 25% degli imballaggi a base di materiali fossili e, grazie alle nuove capacità in corso di avvio, il riciclo potrebbe crescere ancora, passando dalle attuali 10 tonnellate al minuto ad oltre 12», ha detto il presidente di Assocarta Poli.
Secondo quanto emerge dal rapporto, in Italia nel 2019 l’industria cartaria ha avuto un consumo totale di materia pari a 10,08 milioni di tonnellate, per la produzione di 8,9 milioni di tonnellate di prodotti. Sul totale dei consumi, oltre la metà è costituita da materia seconda, il 35,4% da fibre vergini e il 14,4% da materiali non fibrosi come carbonato di calcio, amidi, minerali, sbiancanti e altri costituenti della produzione. Complessivamente, si legge nel report, anche considerando la quota di amidi, si può stimare che circa l’89,1% delle materie usate sono costituite da materie seconde (maceri) o da materie rinnovabili (fibre cellulosiche e amidi). L’impiego di fibre vergini è stato in Italia, nel 2019, pari a 3.575.400 t. Un risultato frutto anche della raccolta interna di carta e cartone, cresciuta del 75% in vent’anni, passando dai 3,75 milioni di tonnellate del 1998 alle 6,56 milioni di tonnellate del 2019. Dati positivi anche sul fronte del consumo di acqua che si è ridotto nei decenni: se alla fine degli anni settanta erano necessari mediamente 100 metri cubi d’acqua per produrre una tonnellata di carta, oggi ne vengono utilizzati 26 (dato medio del campione Assocarta). Nota dolente del report, il lieve incremento dal 2013 della produzione specifica di rifiuto per tonnellata di prodotta. «Il riciclo in sé comporta che vengano prodotti più scarti», ha spiegato Poli durante la presentazione del report. Secondo i dati Ispra l’intero settore della produzione cartaria e cartotecnica ha generato nel 2017 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti, corrispondenti a circa 165 kg per t di carta prodotta.
Per il miglioramento dei suoi indicatori di prestazione ambientale riportati nel rapporto ambientale, il settore si dice pronto a cogliere le opportunità del Recovery Fund, reclamando la possibilità di un ulteriore progresso “se vi fosse un contesto normativo favorevole all’impresa e alla sua competitività sui mercati”. «Si può fare di più perché il settore ha ancora delle sfide importanti da affrontare ma serve un contesto normativo favorevole. Per questo insieme a Legambiente chiediamo al Governo supporto per progredire nel processo di decarbonizzazione: non vediamo un’unica soluzione, il settore ha bisogno di infrastrutture per rendere questa transizione graduale e sostenibile economicamente», ha detto il presidente di Assocarta.
«Eccellenza per qualità e quantità del riciclo dei materiali, il settore cartario ha saputo ritagliarsi un ruolo di leadership nel panorama dell’economia circolare in Italia e i numeri del nuovo rapporto ambientale ne sono una conferma» ha sottolineato Stefano Ciafani, che ha poi aggiunto: «Un primato che va certamente consolidato e che, forte dei risultati raggiunti nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani e degli scarti produttivi, deve confrontarsi con nuove sfide, dall’innovazione alla produzione e utilizzo di energie rinnovabili, come il biometano. Sfide cui la politica è chiamata a dare risposte all’altezza. Nel pieno della discussione sul Recovery Plan, è tempo di semplificare la normativa per le autorizzazioni, implementare il decreto End of Waste su carta e cartone e realizzare gli impianti per poter rendere la filiera sempre più circolare e libera dalle fonti fossili: un obiettivo, quest’ultimo, che ci vede in prima linea in una cammino comune con Assocarta».
Oltre alla riduzione di emissioni di CO2, le proposte di politica industriale del settore per una economia ancora più circolare, riassunte nella seconda parte del Rapporto, riguardano il miglioramento dell’efficienza energetica, l’approvvigionamento di fonti sostenibili, l’incremento della capacità di riciclo e un parallelo ulteriore miglioramento della qualità della raccolta differenziata – punto ancora debole del sistema di riciclo -, a cui si aggiungono la necessità di valorizzare gli scarti del riciclo (con la ricerca di nuove tecnologie, l’investimento in nuovi impianti e l’accesso al mercato dei prodotti così ottenuti), di valorizzare i fanghi per la produzione di biometano, opportunità per favorire il recupero e la decarbonizzazione, e infine la necessità di avere quadro normativo coerente.