Decarbonizzazione e riduzione delle emissioni di gas serra del 33% entro il 2030 sono soltanto alcuni degli obiettivi fissati dal nostro Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) e inquadrati anche nel più recente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Anche se si tratta di iniziative da applaudire, devono anche essere guardate da vicino per vedere se la loro logica è lineare o circolare.
Ma, cosa si intende per economia circolare?
Secondo la definizione data dalla Fondazione Ellen MacArthur, un’economia circolare si basa sulla minimizzazione degli sprechi e dell’inquinamento, riutilizzando prodotti e materiali e rigenerando i sistemi naturali. È circolare perché tutto rimane in uso più a lungo, mantenendo più cicli di utilizzo attraverso il commercio, la riparazione e il riciclo. Questo, chiaramente in opposizione all’economia lineare del “prendere-fare-usare una volta per un tempo relativamente breve, smaltire, sostituire”, che consuma materie prime insostituibili e crea quantità ingestibili di rifiuti e sostanze inquinanti.
L’opportunità circolare
Oltre al cambiamento climatico, sono molteplici le ragioni per cui adottare un modello circolare è vantaggioso. Le ricerche condotte in merito mostrano come questo approccio offra un’opportunità economica di 4,5 trilioni di dollari riducendo i rifiuti, stimolando l’innovazione e creando occupazione. Anche i nuovi modelli di business incentrati sul riutilizzo, la riparazione, la ri-fabbricazione e la condivisione offrono significative opportunità di innovazione. Mentre il mondo inizia a emergere lentamente dall’apice della pandemia, è stato ampiamente riportato che le economie globali potrebbero godere di enormi impulsi economici se le nazioni abbandonassero il loro approccio lineare ai materiali e alle risorse e si convertissero completamente all’economia circolare e alle iniziative guidate dalla sostenibilità.
Realizzare questo obiettivo richiede un approccio olistico sia da parte dei governi che delle imprese, che collettivamente devono allontanarsi dalla tradizionale cultura lineare dello scarto. La chiave di tutto questo, però, è evitare in primo luogo la produzione di rifiuti. In un’economia circolare, la fabbricazione dei prodotti inizia con l’utilizzo di sole materie prime sostenibili e prosegue con una progettazione che guarda alla longevità, il che significa non solo creare oggetti che durino il più a lungo possibile, ma anche renderli semplici da riparare in modo che la cultura dell'”usa e getta – compra nuovo” venga ridotta il più possibile. La progettazione, inoltre, deve anche permettere il riciclo una volta che i prodotti hanno raggiunto il loro vero punto di obsolescenza.
Far durare la tecnologia
L’industria della tecnologia è particolarmente nota per la sua produzione di rifiuti, dato che i continui update e upgrade abbinati all’obsolescenza ci portano a sostituire regolarmente gli oggetti. Mentre alcuni prodotti durano più a lungo di altri – i monitor, per esempio, vengono sostituiti in genere ogni 13 anni, contro i due anni degli smartphone – alcune ricerche hanno scoperto che i prodotti elettronici durano in genere da due a tre anni in meno di quanto previsto al momento della progettazione.
Quindi, chi decide per quanto tempo un prodotto sarà usato prima di essere buttato via? La realtà è che molti oggetti si rompono troppo presto dopo l’acquisto, e non possono essere riparati o riciclati. Gran parte della responsabilità è dei produttori stessi, che concepiscono le loro creazioni per un uso singolo e a breve termine, con obsolescenza prematura incorporata, invece di progettare secondo le regole dell’economia circolare.
Ma non deve essere per forza così. Ci sono motivi più che validi per costruire prodotti di lunga durata che possano poi essere rimessi a nuovo per il mercato dell’usato da riparatori certificati o, se non è possibile una riparazione commercialmente valida, scomposti in parti riutilizzabili. L’idea che i consumatori non si preoccupino del ciclo di vita degli oggetti che comprano sta perdendo terreno, dato che c’è una tendenza crescente ad acquistare da marchi sostenibili. Secondo Kantar, quest’ultima si è particolarmente concretizzata dopo la pandemia, con un acquirente su cinque – e sono in aumento – che prende costantemente decisioni di acquisto influenzate dal desiderio di ridurre i propri rifiuti di plastica.
Produrre per la longevità: le ragioni delle aziende
La linea di fondo è che prodotti più duraturi sono vantaggiosi per il business sotto svariati punti di vista. In primis attraverso la scelta di materie prime sostenibili – sia per la fabbricazione dei prodotti che per i materiali di consumo – che altrimenti diventeranno sempre più scarse e costose e condurranno ad altre conseguenze ambientali impreviste. Inoltre, i prodotti progettati per essere durevoli e longevi sono anche un buon investimento aziendale, favorendo la produttività grazie alla riduzione delle interruzioni causate dalla sostituzione o dall’introduzione di nuove tecnologie. I prodotti progettati in modo circolare, infine, assicurano considerevoli risparmi in termini di consumo di energia, resi possibile non solo dalla presenza di cicli di aggiornamento più lunghi, ma anche da funzionalità come la manutenzione remota basata sull’analisi predittiva e l’assistenza su richiesta, utili a garantire che i prodotti continuino a funzionare per tutto il tempo necessario.
Molti pensano che l’economia circolare sia unicamente sinonimo di riciclo, ma in realtà ne costituisce solo una parte. Progettare fin dall’inizio in modo che i prodotti durino più a lungo riduce i rifiuti e la necessità di riciclare, che può a sua volta consumare molta energia. In ogni caso, non si tratta certo di smettere di riciclare, ma di acquisire una diversa consapevolezza: se non si stanno facendo o acquistando prodotti progettati per durare, si sta operando solo a metà.
A cura di Giancarlo Soro, amministratore delegato di Lexmark Italia