Abbracciare l’automazione operando una trasformazione supportata dall’intero team aziendale
di Pat McGrew, McGrew Group, Inc
La trasformazione digitale è sicuramente uno dei temi più caldi del momento. Articoli su riviste e sessioni di conferenze esaminano cosa significhi operare una trasformazione digitale mantenendo attivo il business. La maggior parte dei consulenti concorda sul fatto che il primo step da compiere è fare un’attenta analisi del personale, dei processi (in particolare dei flussi di lavoro) e della tecnologia: in questo modo è possibile creare una solida base per qualsiasi cambiamento verrà messo in atto. Tale valutazione consente di stabilire la priorità e individuare i membri del team che saranno in prima linea. Anche resistenze e sabotatori diventeranno evidenti e chiariranno perché il 70% dei progetti di trasformazione e cambiamento fallisce.
Quel numero ha avuto origine in uno studio condotto dal professor John Kotter di Harvard negli anni ’90: in rete è presente una lunga lista di riferimenti al suo lavoro e in particolare a questo leggendario 70%. È ancora attuale? Nel settembre 2021, l’Harvard Business Review ha aggiornato questo dibattito pubblicando un nuovo articolo con i dati raccolti da Copperfield Advisory (Copperfield), Insider e Revolution Insights Group (RIG). Il loro lavoro ha riscontrato un tasso di fallimento del 78% e ha ribadito la maggior parte dei punti deboli individuati da Kotter più di 25 anni fa. Il punto è che il cambiamento è difficile, il personale e la direzione possono resistere al cambiamento stesso di cui affermano di aver bisogno ma l’evoluzione delle tecnologie non semplifica le cose, anzi le rende più complicate.
In cosa consiste la difficoltà?
Basta guardarsi intorno per comprenderlo. Nei nostri luoghi di lavoro siamo circondati da tecnologia. Ma non solo, anche a casa. laptop, tablet, telefoni, dispositivi di assistenza (Alexa, Bixby, Siri, Google) e soluzioni di automazione intelligente ci mettono faccia a faccia con ostacoli tecnologici. Il semplice aggiornamento di uno smartphone può essere un’esperienza complessa perché non siamo sicuri che le nostre app preferite funzioneranno allo stesso modo. I nuovi aggiornamenti di Windows e Mac sui computer o tablet creano la stessa preoccupazione in quanto gli upgrade del software se da una parte portano benefici dall’altra possono creare disagi.
Partendo da questo presupposto se pensiamo allo stesso cambiamento trasponendolo in azienda ci rendiamo conto del motivo per cui il cambiamento possa essere vissuto con preoccupazione. In qualche modo obbliga operatori e manager, sia nel back office sia nell’ambiente di produzione, a uscire dalla loro zona di comfort. Parlare di automazione solleva lo spettro del cambiamento dei ruoli lavorativi. Sostituire i codici dei programmi e degli script creati in house con suite di automazione è vissuto come un complotto per eliminare il personale di programmazione. L’integrazione dei sistemi per aggiornare i dashboard aziendali e di produzione cambia continuamente la dinamica del flusso di lavoro. L’aggiunta di nuove soluzioni che mettono a disposizione nuove funzionalità può sembrare una criticità per la routine quotidiana.
Questi sono i motivi costanti che rendono l’adattamento ai cambiamenti tecnologici paragonabile al passaggio a un nuovo paradigma che richiede pianificazione, comunicazione e un supporto esecutivo costanti. A questo scenario si è sommata la pandemia globale che rappresenta un ingrediente aggiuntivo alla “ricetta”. Satya Nadella, CEO di Microsoft, lo ha detto meglio: abbiamo bisogno di empatia per promuovere il cambiamento necessario. Ha trovato l’azienda carente dal punto di vista di questa attitudine e quando ha preso questo incarico in Microsoft è diventato un filo rosso con cui ha tessuto la trasformazione che ha fortemente sponsorizzato. La razionalizzazione e l’automazione, la modifica dei parametri di riferimento e la ridefinizione della struttura di gestione sono importanti per supportare nuovi obiettivi. Ma senza empatia tra il personale coinvolto i cambiamenti non avrebbero successo.
Serve un piano d’azione
Affinché i flussi di lavoro mostrino il loro beneficio sui processi e sulle tecnologie (come l’aggiunta della connettività cloud), è necessario un piano. Non basta un elenco su una serie di slide. Deve essere un piano concreto che consideri ogni punto di contatto nel flusso di lavoro e nell’organizzazione, evidenziando chiaramente i problemi che la trasformazione del worflow risolverà, cosa sta cambiando e il conseguente impatto su lavori e processi specifici.
È importante che tutti comprendano le dinamiche dei nuovi flussi e le tecnologie di supporto, come funzionano, chi è responsabile della loro manutenzione e il ruolo di ciascuna tecnologia worflow trasformato. È necessario eseguire un’analisi precisa per individuare cosa è vecchio e cosa appartiene al nuovo paradigma per poter assegnare un ruolo a ognuno mettendolo nella condizione ottimale per diventare parte attiva del flusso. La valutazione può evidenziare che la nuova organizzazione metta a rischio l’azienda oppure può emergere che alcuni elementi del vecchio flusso possano essere mantenuti invariati perché nel tempo sono stati opportunamente aggiornati e possono integrarsi nelle nuove procedure.
Un altro step fondamentale è individuare leader e influencer non ufficiali: non è necessario che siano i manager, i direttori o il personale più longevo. Occorre individuare persone che possano diventare punti di riferimento perché comprendano la trasformazione e siano in grado di trasmetterla con entusiasmo ed empatia al resto del team.
A questo punto serve creare un piano d’azione preciso comprensibile da tutti e che supporti le persone nel percorso di adeguamento supportandole durante il cambiamento dei processi e dei programmi. Le implementazioni tecnologiche richiedono tempo e potrebbe essere necessario adeguare le tempistiche di passaggio ai nuovi processi; le integrazioni pianificate potrebbero incontrare ostacoli di diversa natura. Nuove connessioni e feed di dati devono essere controllati con attenzione per garantire che i dati corretti vengano inseriti nel flusso di lavoro.
In queste fasi delicate il coinvolgimento del personale è fondamentale anche per fare emergere eventuali criticità e suggerimenti o per segnalare attriti. È utile il contributo di tutti in modo da affrontare il passaggio in modo aperto, facendo trasparire i punti deboli e poter attuare revisioni intermedie durante i diversi step di trasformazione. Questo serve a evitare che una strategia di evoluzione si trasformi in un fallimento.
Trovare l’equilibrio
Il passaggio da un flusso di lavoro manuale a quello automatizzato, o l’ampliamento delle isole di automazione, ha senza dubbio le sue incognite ma è indubbio che si tratta di azioni migliorative per l’efficienza e la profittabilità dell’azienda. I sistemi non standardizzati e i processi manuali mettono a rischio l’azienda. Molte lo hanno imparato quando si sono trovate costrette a chiudere gli uffici e a chiedere ai dipendenti di lavorare da casa a causa della pandemia. Quelle che avevano investito nell’automazione dei propri flussi di lavoro e di produzione hanno trovato più facile gestire i lavori in corso d’opera e quelli nuovi, rispetto alle aziende che si affidavano alle persone che spostavano fisicamente documenti cartacei durante i diversi step del processo. Sicuramente le organizzazioni che hanno continuato a investire nell’integrazione dei loro sistemi per la condivisione di dati comuni e normalizzati per aggiornare le dashboard comunemente accessibili si sono trovate in una situazione più agevole per garantire la business continuity.